Gli Scriptoria e la tradizione monastico-letteraria calabrese

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Studio linguistico e filologico nei monasteri basiliani

Uno degli aspetti di quanto mai singolare importanza esaminando i numerosi Bioi e alcuni Typica relativi ad alcuni monasteri basiliani, è lo spazio della loro vita spirituale che veniva dedicato allo studio linguistico e filologico da parte dei monaci. La vastità della portata di tale aspetto è particolarmente rilevante soprattutto nel periodo compreso tra il IX e l’XI sec.

Un ruolo determinante nello sviluppo e che sicuramente contribuì alla diffusione di numerosi codici copiati proprio nei nostri monasteri fu un ambiente alquanto singolare, ritirato e ricco di grande suggestività: lo scriptorium, luogo nel quale i monaci, diventati ormai amanuensi, si ritiravano per trascrivere testi, esaminare e ricopiare codici. Ogni scriptorium possedeva inoltre una fornita biblioteca dalla quale i monaci prendevano i testi da studiare o eventualmente da ricopiare. Tale aspetto della vita ascetico-religiosa, ebbe notevole importanza culturale sia per l'azione di salvaguardia della cultura greca e latina, sia perché costituì un nuovo indirizzo di pensiero e di sviluppo di una nuova cultura.

In Calabria particolarmente attivo fu il Vivarium, monastero fondato da Flavio Magno Aurelio Cassiodoro nei pressi di Squillace nel quale lo stesso Cassiodoro si ritirò e dove, sotto la sua guida, venne raccolta una preziosa biblioteca all’interno della quale si iniziò un lavoro di trascrizione e traduzione dei testi latini e greci. Nelle immediate vicinanze dei monasteri sorgevano quasi sempre, scuole dedicate agli abitanti dei luoghi nei quali il monastero ricadeva nelle quali i monaci più istruiti tenevano cicli di lezioni per acculturare le masse popolari. Il monastero quindi, così strutturato, divenne non solo un luogo fisico nel quale i monaci vivevano e si riunivano a pregare, ma anche un luogo di conservazione e di diffusione culturale.

Nei principali monasteri esisteva poi una scuola calligrafica nella quale i monaci si esercitavano proprio nella trascrizione e nella miniatura dei codici. Infatti trascrivere un codice non voleva dire copiarlo in maniera conforme ma arricchire un testo di elementi artistico-decorativi in maniera tale da aumentare il valore del testo stesso.

Molto attivi in questo ambito furono sicuramente gli Scriptoria di S. Nicola di Calamizzi a Reggio, di S. Elia e Filarete a Seminara, di S. Bartolomeo di Trigonio di S. Eufemia d’Aspromonte, di S. Giovanni Teriste a Stilo, del Patirion di Rossano e dei monasteri situati in Vallis Tuccis, sul versante ionico meridionale della provincia reggina.

Tra i numerosi codici trascritti presso i nostri monasteri, il più antico sicuramente è il Patmiacus 33 contenente gli scritti di S. Gregorio Nazianzeno e conservato oggi nel monastero di S. Giovanni Evangelista a Patmo ma trascritto con certezza a Reggio intorno al 940 da un monaco di nome Nicola.

Tra i monaci particolarmente attivi nell’arte calligrafica nei secoli IX° e X° vanno menzionati Elia lo Speleota e Nilo.

Questa vivacità culturale della parte meridionale della Calabria durò ininterrottamente fino al periodo svevo-angioino momento dal quale si assiste ad un lenta e progressiva decadenza a opera dell’inarrestabile processo di latinizzazione che riguarderà più direttamente la cultura di questi territori.

Oggi a noi resta una sola grande opera che bene rende l’idea dello stile e dell’arte di quei tempi lontani, il Codex Purpureus Rossanensis , scritto nel corso del VI° sec. in Siria.

Pagine e pagine di vita, pagine e pagine di cultura scomparse e che rappresentano il simbolo, amaro e triste, di tante altre pagine di storia calabrese e che ci rimandano ad un epigramma di fede e speranza che accompagnava in molti casi la fine del lavoro di molti copisti: "La mano si corrompe nella tomba, ma lo scritto rimane per anni senza fine>".

 

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